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  Stampa questa scheda Data della recensione: 3 novembre 2012
 
di Sam Mendes, con Daniel Craig, Judi Dench, Javier Bardem, Ralph Fiennes, Albert Finney (Gran Bretagna,Stati Uniti, 2012)
 

James Bond compie cinquant'anni. E festeggia il compleanno di un ciclo di 23 film che ha segnato più di una generazione con una delle sue riuscite più originali. Non a caso: vincitore di un Oscar nel 1999 con AMERICAN BEAUTY, autore in seguito di opere più che interessanti come ROAD TO PERDITION o REVOLUTIONARY ROAD, Sam Mendes è un cineasta vero. Che poco ha che vedere con i registi variamente abilitati a sostenere con azione, glamour ed eventualmente ironia i vari 007 che hanno preceduto questo gloriosamente sciupato Daniel Craig: dall'inimitabile Sean Connery a Roger Moore, ai vari Dalton e Brosnan ((ci fu pure un australiano, tale George Lazenby; ma di lui non si ricorda proprio nessuno).


Sam Mendes ha capito che in tempi di speedatissime serie televisive non è più il caso di affidarsi esclusivamente ad entusiasmi testosteronici. E, prima ancora di lui, l'hanno compreso gli autori di una sceneggiatura intelligente, inventando una storia crepuscolare e nevrotica, impregnata al pari dei suoi protagonisti di tentazioni ormai freudiane: con un James Bond dapprima addirittura defunto e quindi resuscitato, ma sempre devoto fino ad una inedita commozione alla figura di M, la leggendaria capa del controspionaggio (Judie Dench), minacciata, tradita, vacillante nella Londra ormai stinta e melanconica della crisi globalizzante.


Gli autori rendono allora omaggio alla saga, non rinunciano a rispolverare la gloriosa Aston Martin e le allusioni divertite a gadget e situazioni ormai mitiche, agli inseguimenti più folli sui tetti d'Istambul o nel metro londinese (straordinari: anche perché girati alla vecchia maniera, quasi senza controfigure e trucchi digitali). Garantiscono il tradizionale impatto emotivo del commento musicale, non solo il tema classico dei titoli di testa come ai tempi del GOLDFINGER di Shirley Bassey; ma pure affidando spiritosamente a… Charles Trenet o al blues di John Lee Hooker il sottofondo alle perfidie del Cattivo, interpretato da un allusivamente biondastro Javier Bardem.

Al tempo stesso, però, dissacrano, indagano l'intimità dei protagonisti, rivisitano le ragioni del Mito (cosi come ha fatto Christopher Nolan con quello di Batman), fragilizzano e quindi umanizzano un Eroe ossidabile al pari di molti valori contemporanei: tanto da costringere ispettori e medici di Sua Maestà a dichiarare inatto al servizio il seppur splendido ma ormai ammaccato James Craig.


Sam Mendes ha la fortuna di appoggiarsi ad un cast di grande classe, alla fotografia sontuosa di Roger Deakins, l'operatore dei Coen, (la visione di una Shanghai alla Wong Kar-wai piuttosto che la sorprendente ambientazione scozzese del finale sono assolutamente affascinanti) ma senza perdersi nella presunzione. Al contrario, riesce a fondere mirabilmente le qualità di uno sguardo d'autore senza perdere, o quasi, l'efficacia adrenalinica tipica del blockbuster.


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